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GiroGiroTondo 

La mia esperienza in Etiopia 

di Carolina Gentili

 

Ritrovarsi nel 2017 a festeggiare un secondo Natale

Mi sembra strano, ma è tutto vero.

Ho partecipato quest’anno al viaggio esperienza nelle missioni etiopi delle Suore francescane missionarie di Cristo di Rimini, tra dicembre 2024 e gennaio 2025.

Ho ancora da svegliarmi, sono rientrata da poche settimane.

In Etiopia siamo nel 2017, perché il calendario copto ortodosso cristiano è indietro di 7 anni rispetto al nostro e il nuovo anno etiope si festeggia tra l’11 e il 12 settembre.

Ho vissuto la mia prima esperienza in Africa, la mia prima esperienza missionaria in un paese povero. Mi sono sentita catapultata in una dimensione talmente altra, che la forza dell’impatto, anche con le informazioni recepite prima di partire, non era prevedibile e imparabile.

Alla partenza avevo già festeggiato il Natale a Firenze, città di nascita e in cui vivo, il 25 dicembre.

Che strano festeggiare il Natale in un altro paese e soprattutto festeggiare il Natale due volte! E’ stato qualcosa di particolare e speciale. Di cui ancora il seme e significato sono in elaborazione.

E’ stato un viaggio inaspettato, ma vissuto pienamente con tutte le sue bellezze e asperità. Desideravo una botta al cuore. Qualcosa di sconvolgente.

In effetti, ho ancora da riprendermi.

Sono stata molto combattuta a partire, nonostante avessi già comprato il biglietto aereo e poi un'esperienza missionaria in terre povere e lontane, mi ha sempre affascinato.

Ci sono stati segni che mi hanno convinto di aver fatto la scelta giusta. Troppe date familiari.

In Etiopia si festeggia il capodanno il 12 settembre, giorno del compleanno del mio babbo; siamo nel 2017, anno della nascita in cielo di mia mamma e le suore missionarie di Cristo, organizzatrici del viaggio, hanno messo piede in Etiopia per la prima volta nell'ottobre 1972, mese e anno della mia nascita.

Le suore missionarie francescane di Cristo di Rimini sono una congregazione che nasce nel 1885 per divina ispirazione di Madre Teresa di Gesù Crocifisso (al secolo Faustina Zavagli). Le suore accolgono, nello spirito francescano “l’invito che lo Spirito Santo ha riservato loro: “Guardati attorno e servi” per diventare testimoni e missionarie nel mondo dell’amore del Padre.

La preparazione al viaggio sono state due giornate di formazione e informazione; il gruppo di laici in partenza con me, in prevalenza di Rimini, sono parte di un progetto di campo lavoro che aiuta le missioni delle suore nel sostegno di opere in Africa. Con noi anche un sacerdote, Don Antonio Giovanni Moro della Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Bellaria, già esperto di iniziative missionarie in Africa e Suor Monica Dadalt suora missionaria di Cristo che ha vissuto in missione in Etiopia per 35 anni e che rientrata nella casa madre a Rimini da qualche anno organizza il viaggio esperienza a cui ho partecipato.

Mi direte voi, come molti mi hanno chiesto; come mai sei finita a Rimini se sei di Firenze? Non potevi cercare una esperienza che partiva da Firenze? Avevo già cercato qualcosa a Firenze, ma erano esperienze che richiedevano una formazione più lunga e in questo momento preciso non c’erano progetti o partenze in ponte. Poi metà del mio sangue è romagnolo, mio padre, già in cielo dal 2012, è originario di Cesena, e in questi ultimi anni che sto cercando di riavvicinarmi alla sua anima, ho la tendenza a cercare lì. Infatti, appena dopo la pandemia avevo iniziato un percorso di formazione per le missioni in America Latina dalle Suore della Sacra Famiglia di Cesena, poi, a causa di impegni personali e di lavoro ho dovuto interrompere.

Ed è arrivata l’occasione con le Suore francescane missionarie di Cristo di Rimini che ho colto al volo.

Le ho conosciute su internet, cercando di fare una adozione a distanza. E sono venuta in contatto con Suor Monica Dadalt.


Pellegrini di Speranza

Il gruppo in partenza ha cercato di fare propria l’essenza del Giubileo 2025, essere “Pellegrini di Speranza” con le parole del Santo Padre:

Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante. Il Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza. Per questo ho scelto il motto Pellegrini di speranza. Tutto ciò però sarà possibile se saremo capaci di recuperare il senso di fraternità universale, se non chiuderemo gli occhi davanti al dramma della povertà dilagante che impedisce a milioni di uomini, donne, giovani e bambini di vivere in maniera degna di esseri umani.”

Ci siamo portati dietro queste parole, nella consapevolezza di essere un puntino minuscolo della terra e che il nostro viaggio nelle missioni in Etiopia è una piccola goccia di speranza nell’oceano della povertà e della solitudine.

Prima di tutto dobbiamo essere responsabili della nostra persona e del nostro cuore. E responsabili della speranza che portiamo dentro, di quanto il nostro cuore è contaminato e in conflitto con sé stesso, di quanto va nutrito e curato con la preghiera e l’Amore di Dio e di quanto va purificato per essere portatore di luce.

Siamo partiti come pellegrini con la speranza di portare speranza alle popolazioni povere dell’Etiopia. E non so se ci siamo riusciti. So per certo però che ognuno di noi partecipanti ha ricevuto tantissimo.

I volontari del gruppo, chi sono

Il gruppo è variegato, desidero lasciare una caratteristica di ognuno che mi è rimasta nel cuore:

Peo: Peo è diminutivo di Europeo, un nome, un programma, un carattere forte, solido, impegnato e impegnativo, con un cuore grande come la sua ironia e le sue battute che sono una benedizione soprattutto nei momenti missionari più difficili

Piero: un uomo fedelissimo e innamorato della sua famiglia, sensibile e pieno di amore per i più deboli, quando ha visto la nuova aula per i bimbi della missione di Wassera, ci siamo abbracciati dalla commozione

Paola: Una donna che sta affrontando il suo dolore con animo, forza, umanità e impegno; un’anima gentile e bella, che riesce a sdrammatizzare e a rendere i momenti profondi e leggeri nello stesso tempo

Franca: se non c’era Franca una mattina in cui ero dolorante dentro, non so come avrei affrontato la giornata; abbiamo chiacchierato un sacco, mi ha parlato della sua vita e tutto quello che è riuscita ad affrontare; una donna che ha fatto degli ostacoli, trampolini d’amore. Bellissimo il suo percorso umano e familiare.

Vittorio: Il marito di Franca, hanno festeggiato insieme 50 di matrimonio proprio in Etiopia; hanno attraversato insieme e con amore, migliaia di ostacoli e ce l’hanno fatta; un esempio per tutti noi; Vittorio è dolce e tanto innamorato di Franca e della sua famiglia

Novella: Una cuoca fantastica, ci ha deliziato con le sue prelibatezze e il suo carattere allegro e forte, il suo vissuto e le sue esperienze. Un treno inarrestabile, non si ferma mai, è sempre sul pezzo.

Enzo: marito di Novella, riservato ma con una sensibilità pratica non indifferente, le sue freddure buone sono di chi ha fatto del suo lavoro una passione da trasmettere. Grande osservatore, si esprime sempre, mai per caso.

Gianni: non può non vivere senza la sua passione per le trottole; un collezionista di grande livello che attraversa il mondo per trasmettere la bellezza della sua passione

Rosa: una giovane in cerca di bellezza, sensibile e determinata, con un cuore bello e desiderosa di sperimentare e conoscere; sta crescendo nella sua passione per il suo lavoro di optometrista

Don Antonio: Un sacerdote con un cuore grande, a contatto con i giovani, che sa vedere in profondità l’anima delle persone, un pilastro durante l’esperienza, che ci ha accompagnato con le sue bellissime omelie, senza le quali noi non avremmo potuto fare un percorso così ricco e arricchente di spunti dalla Parola di Dio e di meditazione quotidiana dell’esperienza vissuta

Suor Monica: il portento che ha inventato questo meraviglioso viaggio, che vola sopra le difficoltà come un’aquila ispirata da Dio; che ha vissuto in Etiopia per 35 anni e che ha visto nascere le missioni e i frutti della loro evoluzione; è un esempio per tutti, ed è bello guardare la sua passione e la grandezza dell’opera di Dio nel suo cuore, opera che si è espressa nel donarsi a questo paese povero, nell’adozione di tanti bambini e ragazzi. Il suo cuore è in Etiopia.

Tra formazione missionaria e viaggio esperenziale

Credo che la formula di questo viaggio esperienza sia un compromesso perfetto per chi desidera conoscere ed esperire una missione umanitaria nei luoghi di povertà e per chi vuole scoprire nuove culture, modi di vivere, luoghi e popoli diversi.

Anche se Sr Monica nell’ispirazione a costruire e organizzare questo viaggio, a suo dire, non ha mai pensato che potesse diventare una modalità così interessante, in ogni caso, è riuscita a dare una impostazione originale e perfettamente riuscita.

Un nuovo “pacchetto” di viaggio che i tour operator si sognano e che, secondo me, dovrebbe essere promosso largamente a tutti. Missionari e non.

Siamo troppo abituati a far un turismo che impedisce di conoscere la vera realtà dei luoghi e delle persone e che rimane nella bolla protetta di uno schema di vita che non ci apre davvero agli altri, alla loro autenticità.

Certo è un viaggio particolare che richiede una chiamata alla missionarietà, se non definitiva, almeno momentanea, un desiderio di ascolto di se stessi e del mondo, del povero e dello straniero, un desiderio di cambiamento e di scambio e una adattabilità alle intemperie del momento e ai suoi bisogni, alla scoperta di nuovi modi di vivere. L’adattabilità è cruciale per fare questo viaggio. Adattabilità agli altri, al clima, al cibo, a nuovi modi di essere e di viaggiare.

In genere, chi desidera fare il missionario volontario in luoghi di povertà e culture diverse, nella esperienza di amici che conosco, partiti come volontari nelle missioni all’estero, ha sempre dovuto fare, a ragione, un percorso di formazione.

Nella formula inventata da Sr Monica si uniscono diversi aspetti sia teorici che pratici che lo fanno essere un nuovo approccio alla formazione missionaria, secondo me ispiratore di esperienze missionarie più lunghe sia in Etiopia che in altri paesi.

Missionari e non

Non credo però che per fare questa esperienza sia necessario voler diventare missionari. O sentirsi investiti di questo ruolo.

Anzi, i ruoli a volte irrigidiscono e non aiutano a essere liberi nel vivere in comunione con l’altro e nella libertà di essere se stessi.

L’esperienza infatti, prima di tutto, dovrebbe essere una chiamata all’incontro dell’altro, povero, straniero che sia, da considerare non come colui o colei che aiutiamo, dall’alto della nostra posizione di “sviluppo”, con la convinzione del migliore, ma colui o colei, che come figlio di Dio è degno di essere incontrato ed ascoltato come persona.

E' vero che in Africa c’è un livello di istruzione basso, una situazione economica scadente e una incapacità di sfruttare e valorizzare la propria ricchezza.

Ma c’è anche un’anima regale ed eretta, sembra quella di un leone di fronte ad un sole nascente, che non abbassa i propri occhi e la propria fierezza. Un’anima che ci potrebbe insegnare molto.

I paesi "evoluti" hanno più istruzione, ma spesso anche più distruzione e meno anima.

Andare nei paesi più poveri è una occasione di scambio culturale, esperenziale, di vita e di incontro e non una occasione di chi conosce un modo più sapiente di vivere e che lo impone agli altri.

Se vogliamo davvero aiutare i paesi più poveri, in questo caso l'Etiopia, credo che dovremmo entrare nel loro territorio con umiltà e rispetto, con l’obiettivo principale di collaborare alla presa di coscienza del valore e della ricchezza umana, culturale, naturale e territoriale di questo popolo. Aiutandoli a crescere e svilupparsi dove sono.

Entrare nel territorio dell’altro, per un arricchimento reciproco, con una visione di scambio umano che, con ascolto fiducioso, può mettere in discussione la visione della vita.

Anche loro che ci incontrano sono a loro modo dei missionari inconsapevoli. Ci donano, se vogliamo, la possibilità di aprirci e di non rimanere ancorati nelle nostre rigide posizioni. Ci donano la possibilità di vedere le nostre lacune umane dovute all'eccessiva idolatria del denaro, della ricchezza e di un sistema “evoluto”. Ci donano la possibilità di vedere la nostra povertà d'amore.

Inoltre, la nostra missionarietà in Africa non dovrebbe essere diversa dalla nostra missionarietà nella città in cui viviamo, nelle nostre famiglie e nei luoghi dove lavoriamo, nelle nostre comunità, nella vita quotidiana.

La missione e l’essere missionario dovrebbe assumere una concezione più ampia, larga, un ampiamento del cuore, in cui è l’Amore che fa casa in noi e noi lo portiamo ovunque, dove siamo. Una missionarietà dell’anima, che non dipende dal luogo, che si dipana dall’Amore e va nei luoghi dove Dio ci ha posto e ci chiama ad essere.

E’ un obiettivo enorme questo e anche complicato che richiede impegno e una Grazia di Dio nel cuore. Papa Francesco ci sprona ad uscire, ad essere una Chiesa in uscita.

E in uscita significa una Chiesa che riesce a superare non solo le barriere fisiche e geografiche, ma anche e soprattutto i propri ostacoli mentali, i propri spigoli nel cuore.

 

 Il Bene

Chi sono io,

a credermi sapiente

se ho difficoltà ad amare?

Vorrei che L’altro,

fosse un luogo

in cui i passi nella soglia,

sostano in attesa di incontrarlo.

In attesa di ascoltarci

e di impararci.

Senza meglio o peggio.

Ma solo umano o disumano.

Quanti disumani

pieni d’istruzione,

e distruzione.

E umani che danno

tutto il loro poco,

aprendo le braccia

all’eternità.

L’istruzione di chi

non è consapevole

è importante,

ma il bene di più.

Che ama, dà luce,

gioia e pace.

Costruisce, cresce

e unisce il cuore di tutti.

Tu sai qual è il bene,

il mio bene, il tuo bene,

il nostro bene?

 

L'Africa ti rimane

 L’Africa ti rimane,

come una strada lenta, accidentata,

piena di luoghi profondi, dove il cielo

è ampio, dorato di tramonti e stellato nel buio.

I bambini ti corrono incontro, insieme,

li vedi anche soli camminare, col sorriso, col carretto

con la mucca, già grandi negli occhi, adulti e cupi,

prima del tempo, polverosi, stesse scarpe rotte.

Ti urlano da lontano, caramella! E ridono.

Inconsapevoli del mondo e del ricco implacabile

che viene da fuori.

Ti rimane l’Africa nei suoi momenti caldi,

i canti e i balli, le preghiere che non finiscono,

che andrebbero avanti per ore.

L’ odore forte, silente e supremo dell’anima.

Che si erge improvvisa in tutta la sua fierezza e dignità.

Schiacciata dall’ignoranza, dalla mancanza di prospettive.

Ma vivissima degli stessi colori oro che ti restano dentro.

Se sapesse quanto ha da offrire!

E quanto la fierezza della sua anima ha da insegnarci!

E’ attenta, come un leone di fronte al sole, pieno,

che raggia la vita.


Incontrare lo straniero, il povero, fuori e dentro di noi

Può essere scomodo, diverso e può far paura, ma se ci si abbandona al non voler programmare e sapere tutto prima, e ci si lascia cogliere di sorpresa da ciò che è sconosciuto, straniero e povero, ci si porta a vivere questo viaggio missionario, alla scoperta di una vita autentica, lasciandoci toccare e toccare senza filtri.

La conoscenza nuda e cruda. Che è alla base della vita semplice, essenziale.

La povertà, nonostante i disagi, esalta la ricchezza della nudità del cuore. Nel mondo ricco di cose e di ruoli, gli abiti delle cose e dei ruoli, spesso, seppelliscono il cuore.

Siamo abituati a programmare e a stare in un mondo inscatolato nelle nostre certezze, visioni, schemi, abitudini. Troppi strati che impediscono alla nostra essenza di venire fuori.

L’Africa certo è un altro mondo e la modalità di vivere è inconsueta per noi.

Ma questo viaggio può aiutare a scardinare momentaneamente la nostra visione per entrare nello sguardo di altri modi di intendere la vita.

E’ anche un modo di metterci in discussione e di entrare in contatto con parti di noi molto profonde.

Non è certo una passeggiata.

Ciò che di straniero e povero andiamo a incontrare, può essere lo straniero e il povero dentro di noi che non abbiamo probabilmente mai accolto ed accettato.


Ciò che non è stato amato.

Potrà mai amare?

Forse dovrei dirtelo.

Che non riesco ad amarti.

Forse.

Nel mio dirtelo

ti sentiresti

più amata?

Non riesco a dirtelo.

Che non ti amo.

E’ un mio limite.

Forse.

Un fardello

 

Chissà nel cuore

che pensi, in quell’ombra

che non dici, che fiori

potrebbero germogliare.

Il tuo sguardo è acqua limpida,

ai piedi di un cielo alto,

inconsapevole umiltà,

abbandonata a sé.

E’ febbre questo sole

che scalda fermo.

Mentre la polvere

corre tra le mani e i piedi,

non smetto di pensarti

più viva di me, anima

di bimba eletta, sola,

lasciata in un angolo.

 

Essere pellegrina, riflessioni.

A partire da una domanda che mi sono posta uno degli ultimi giorni nella missione di Nazareth parlando con Paola e Rosa del gruppo di missionari

si può essere chiusi viaggiando ed essere aperti stando nello stesso luogo? "

E dalle risposte che ne sono scaturite:

1) l’apertura e la chiusura non dipendono dal movimento, ma dall’essere. E dipendono da persona a persona, dal vissuto di ognuno

2) andare alla scoperta di nuovi luoghi e vedere modalità di vita diverse apre la mente, pone delle domande, mette in discussione, ma non sono determinanti per una apertura e chiusura del cuore;

ho sentito la necessità di comprendere il mio approccio al viaggio, al cammino, all’incontro, la mia esperienza di pellegrina, con l’urgenza di andare a ricercare nuove vie di interpretazione della parola “pellegrino” oltre i significati già conosciuti, di “straniero” e di fedele che cammina per motivi religiosi.

Con stupore ne ho tratto degli spunti interessanti di riflessione, che arricchiscono la parola pellegrino e che rispecchia la mia esperienza in questi ultimi anni sia nei pellegrinaggi in cammino che in questo viaggio in Etiopia.

La parola pellegrino deriva dal latino peregrinus da per – ager, attraverso i campi. Viaggiare, invece, deriva dal provenzale "Viatge", dal lat Viaticum = provvista per il viaggio, che significa andare da un luogo ad un altro.

Quindi sembrerebbe che il pellegrino non si sposta soltanto da un luogo ad un altro, ma attraversa un luogo.

E’ interessante scoprire che attraversare deriva dal latino “transversare”, composto da “trans” (oltre, al di là) e “versare”.

Attraversare può voler dire perciò “versare al di là” e dà l’idea di un movimento, un passaggio per qualcosa che influisce e che fluisce senza rimanere statico.

Un movimento che entra in un modo ed esce in un altro? Un movimento che può trasformare e che può trasfigurare? Non è detto. A volte la nostra rigidità impedisce il passaggio del “fluire dentro trasformando” anche se ci muoviamo.

Ma se il nostro cuore è “terra buona”, come nella parabola del seminatore (Mt 13, 1-9)1, aperto e nell’ascolto, il passaggio del “fluire dentro trasformando” è un seme gettato che pian piano germoglia, cresce e porta frutto.

Siamo fatti di corpo e anima e ciò che attraversiamo, lo si attraversa davvero se siamo aperti, attenti e presenti sia fuori che dentro. Soprattutto se siamo un tutt’uno connesso alla sua essenza profonda d’Amore.

Attraversare è anche toccare i luoghi passo passo, essere toccati e toccare; l'etimo della parola “tocco” è haptikos il termine greco da cui deriva. Indica la capacità di “venire in contatto con qualcosa”.

Se noi non veniamo in contatto con i luoghi e le persone, non possiamo esperirle, conoscerle davvero. Venire in contatto ci unisce alle cose e alle persone. Ce le fa comprendere (parola composta da “prendere con”, che significa anche abbracciare).

Anche esperire ha una etimologia ispiratrice a riguardo: dal lat. Ex-perior è venire in cognizione provando e riprovando. Ci aiuta a comprendere l’importanza del provare e riprovare ai fini di una conoscenza. Mi ricorda una scritta stampata accanto al volto di Einstein nella scuola materna della missione etiope di Nazareth “the more you practice, the better you get”, “più pratichi, migliore diventi”.

Inoltre il pellegrino “attraversa i campi” ed ha a che fare con il mondo naturale, con la creazione, con ciò che sta all’origine.

Oltre ad essere responsabili della speranza nel nostro cuore, siamo responsabili del creato, della natura, di ciò che Dio ci ha donato per essere valorizzato, custodito e amato.

In questa ricerca, nelle interpretazioni che ho dedotto, ritrovo pienamente, l’intenzione profonda di vivere il pellegrinaggio in un movimento che trasforma, in connessione con la creazione e con la corporeità, con l’esperienza di contatto. Fondamentali per la conoscenza autentica di un luogo e di una cultura. E Il tutto, sempre vissuto in profondità e in cerca del Bene più alto.

Io sono partita senza aspettative, con il desiderio di esperire una nuova realtà, senza preconcetti. Tante persone mi avevano parlato dell’Africa come un luogo davvero speciale, che non si può comprendere fintanto non si vive.

Adesso che sono rientrata in Italia, in effetti, sento di avere difficoltà ad esprimere tutta la bellezza e la complessità che ho vissuto e incontrato. Vanno provate sulla pelle e nel cuore.

L’Africa mi ha dato ancor di più la consapevolezza della necessità dell’esperire fisico, corporeo, umano delle cose e delle persone, come strumento di conoscenza, di verità.

E oggi che siamo fissi sul cellulare e sui PC, che siamo virtualmente connessi e tecnologicamente evoluti, stiamo perdendo questa sapiente fisicità, umanità concreta. Questo toccare e lasciarsi toccare in modo autentico, semplice ed essenziale.


Un cuore sofferente può portare speranza agli altri?

Sono partita con il cuore sofferente. Mi sono anche chiesta se questo viaggio è stato una fuga oppure il bisogno di una risposta al mio dolore. Non lo so, rimane un mistero. E mi sono anche chiesta se un cuore sofferente può davvero portare speranza agli altri.

Questa esperienza mi ha anche insegnato che a volte siamo troppo esigenti con noi stessi e con gli altri e che bisogna accoglierci come siamo, abbracciare tutto, quello che siamo, con le nostre debolezze e con i nostri dolori; accogliere quello che la vita ci offre nel momento presente, nel bene e nel male.

Tutto è Grazia, anche ciò che non ci piace e non vorremmo, e tutto ha una sua finalità.

Il nostro mondo loda la perfezione, la velocità, l'efficienza, i risultati, l'ambizione, lo status, il denaro, il successo e la bellezza fisica.

Ciò che è debole, povero, malato, doloroso, è quasi sempre scartato perchè fa paura.

E allora ci si convince che quando siamo deboli, sofferenti, nel dolore, non siamo degni e in grado di aiutare qualcuno, di portare la speranza. Ci chiudiamo nelle nostre case e nel nostro dolore, non condividendolo, per paura di essere giudicati, messi da parte.

Ma l'Amore non segue i nostri pensieri. Anzi spesso l'Amore è proprio dove la debolezza e la fragilità sono più evidenti.

In Etiopia ho imparato che quando non siamo al massimo delle nostre forze possiamo dare qualcosa a qualcuno. E quando non siamo al massimo delle nostre forze possiamo ricevere tanto da qualcuno che non possiede nulla. Nella semplicità di un sorriso, di uno sguardo, diun gioco. Come è successo a me con i bambini della scuola materna di  Wassera.

 


 



Giro giro tondo.

Bambini, I vostri occhi mi seguono.

I saltelli, gli abbracci, le cadute.

Gli sguardi, le risa.

Sitota, che significhi Dono,

sei venuta il giorno dopo

a canticchiarmi “Giro giro tondo..”

Ti ricordavi di me.

Che l’avevo cantata con voi.

Volevi ricantarla.

Un nostro momento insieme.

L’amore ci riconosce.

Ora giro frenetica con le lancette

senza appartenere e approdare.

Quel seme semplice cresce,

giro giro tondo con voi,

nel cuore.


A Maria, una bambina povera di Wassera

 La frenesia del nostro nulla.

E l’ immensità dell’Amore.

Al rientro dall’Etiopia.

A Wassera, un cielo di stelle,

un sorriso a 360 gradi.

Poverissima Maria

tu mi hai baciato

mi hai abbracciato.

Torno a casa con questo bacio.

E con il mio vuoto.

La mia povertà d’Amore.

La mia sofferenza ancora,

più vera e acuita.

Tu mi aiuti a vedere meglio

il mio nulla.

Le mie mancanze.

Mi aiuti a tenerti stretta nel cuore

per sperare di essere migliore.

Di volermi più bene e di voler più bene.

Solo il tuo sguardo è una benedizione per il mio cuore.

Non c’è altro. Non ci sono preghiere, parole da dire.

Perché solo la forza del tuo sguardo è una preghiera.

Ho vissuto un secondo Natale,

in Etiopia, per grazia,

nella vera mangiatoia di Gesù.

E con te Maria, una bambina povera

di Wassera.

Grazie, per sempre.

Maganasso2 

 


 


Bambini a Wassera, Etiopia

I bambini che ho incontrato

a Wassera, sono bambini.

Bambini come tutti gli altri.


Non tutti sorridono

non tutti gioiscono.

Come vien detto.

Anzi.


Sono solo più semplici,

e più uniti,

han meno cose.

Ti baciano e ti abbracciano

senza filtri.


A Wassera prima delle vacanze di Natale

la festa alla scuola materna.

Stretti e appiccicati

In qualche panca di legno

rotta e ammaccata

350 bambini in una stanza.


Noi gli ospiti “vip” bianchi

a guardar la loro recita.


Loro Appiccicati per la festa.

Un solo vestito, un solo paio di scarpe,

maglie usate, rotte.


Bambini. Bambini come tutti gli altri.


Avrei voluto sentirli parlare da dentro.


Stanno facendo una nuova aula

per loro. Ed è tantissimo.

Sono abituati a non stare comodi.

a stare con niente.


E noi?


I nostri bambini,

musica, sport, inglese,

istruzione, teatro, con tutto.

I genitori sono stressati.

I bambini sono stressati.


E loro?

Per terra a mangiar pane

con secchi di succo d’arancia

annacquata per la festa.

A bere negli stessi bicchieri.


Non voglio fare distinzioni.

E’ vero, culture diverse.

Bambini già pieni di pesi in Africa.

Bambini già pieni di vizi da noi.


E quanti soldi girano nel mondo?

E quanti bimbi non possono essere curati

in tante parti del mondo?


Non capisco, ancora non capisco.


E’ vero, culture diverse.

E interessi, tanti.


C’è chi tira l’acqua al suo mulino

e bambini che tirano carretti a Wassera.


Loro sono abituati a non stare comodi.

A stare con niente.







Nomi in amarico etiope, una scoperta

L'Etiopia è una nazione multiculturale, dove si parlano oltre 80 lingue e 200 dialetti locali. Le principali lingue sono l'amarico, il tigrino e l'oromiffa. L'inglese è anche ampiamente diffuso. In amarico i nomi propri hanno tutti un significato bello, mi sono appuntata i nomi di bambini e persone che ho incontrato durante il viaggio e non solo:


Roman = melograno, fecondità, fede


Zemen = anno pieno


Maranatha = vieni Signore Gesu


Abeba= fiore


Tesfaye= speranza


Werknesh= tu sei oro


Etenesh= tu sei mia sorella


Adenech= tu sei salvezza


Gwadenya Nehi= tu sei amica


Desta= gioia


Berhane= la mia luce


Hiwot= vita


Kidist= benedetto


Konjit= bello


Lulit= perla


Seble= raccolto


Sisay = buon auspicio


Setota= dono


Tadesse=ravvivato


Tamrat= miracolo


Scegli uno di questi nomi per te e intanto, addottalo nel tuo cuore, tienilo dentro come un seme, nell'attesa che porti il suo frutto.

 


 

11 Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. 2 Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.3 Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4 E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. 6 Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. 7 Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. 8 Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. 9 Chi ha orecchi intenda».

2significa "grazie" in amarico etiope

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